IO CREDO A BABBO NATALE

Io credo veramente a Babbo Natale.
Molti anni fa è stato pubblicato un diario, questo diario, che non avrebbe dovuto aver gambe. Il diario di un papà che voleva raccontare alle proprie figlie le vicende di un’infanzia non proprio felice. Voleva indicare loro una strada già percorsa, ma soprattutto suggerirne una nuova. Voleva segnare dei momenti magici che si possono provare solo vivendo con la propria famiglia, stando vicino alle esigenze di bambini che hanno bisogno di avere un riferimento. Voleva supportare, ma non viziare. Voleva dare l’esempio, positivo e vissuto sulla pelle di un padre che comunque si è cercato di guadagnare con impegno ogni metro dell’esistenza.
Oggi mi sembra che tutto questo, nato un pò per gioco, un pò per sbaglio, abbia un valore inestimabile. Certo! Sono cosciente che siamo ancora molto distanti dalla perfezione, ma almeno il progetto è corretto. Oggi sembra che tutto crolli, disperatamente e con poca volontà di migliorare. Tutto è tragicamente accettato.
Non ho idea di dove andremo a sbattere la faccia, ma i segnali sembrano terribili. Spero solo che rimanga accesa la fiamma della famiglia, del dialogo tra figli e genitori, del rispetto e della condivisione sia nel bene che nel male. Perché è proprio nel male che si sente il bisogno del supporto di coloro che amiamo.
Oggi è prioritario ritrovare noi stessi il prima possibile, non abbiamo più tantissimo tempo, anzi, forse per qualcuno è già troppo tardi.
Abbiamo bisogno di alimentare la semplicità, la pace, la cooperazione e la condivisione. Invece viviamo nella solitudine, che crea disperazione. Alimentiamo il possesso delle cose, quando avremmo disperato bisogno di sentimenti corretti, veri, puri e felici.
Io credo veramente a Babbo Natale. E per fortuna lui esiste ancora…

Riflessioni di un padre

Oggi è un giorno che ogni italiano dovrebbe scolpire nella memoria per sempre. Oggi è un giorno che ogni padre dovrebbe scolpire nel proprio cuore, per imparare, per riflettere e forse, in alcuni casi o molti casi, rivedere i propri atteggiamenti verso i figli e la famiglia. Oggi è un giorno che dovrebbe trovare un posto d’onore nella cartella: Eventi drammatici da non dimenticare, per imparare e migliorare.

Ieri sera infatti ho guardato, per l’ennesima volta, un piccolo capolavoro del cinema italiano, dedicato alla memoria dei due protagonisti nella foto. Non entro nel merito della tragica vicenda, che appartiene alla storia della nazione, ma voglio avvicinarmi all’aspetto umano di un padre, Borsellino, nei confronti dei tre figli. Un padre che svolse con rigore e amore la propria professione, cercando di non trascurare mai la famiglia, che per lui era comunque cardine e riferimento. Dopo la strage di Capaci, si rese conto di essere “un morto che cammina” e proprio quel pensiero lo portò a riflessioni profonde e disperate nei confronti dei figli. Quei figli che provò addirittura a allontanare, con atteggiamenti duri e parole secche, perché si disinnamorassero di lui. Una decisione forte, disperata, figlia di un amore pieno e vero, che voleva proteggere l’aspetto emotivo e emozionale di tre giovani adolescenti, sentendo la fine ormai prossima, in tutta la sua tragicità.

Così quel padre dimostrò ancora una volta, di quanto amore può essere capace un essere umano; di quanto un padre, degno di tale appellativo, sia disposto a sopportare, pur di non far soffrire coloro che ama e che lo circondano, coloro di cui si sentirà, sempre e comunque, responsabile…

Beh… ho pianto! Per l’ennesima volta, riportando quell’esperienza alla mia vita. All’amore che provo per le mie figlie, che crescono, ogni giorno di più. Giovani ragazze, che diventano donne e rivolgono lo sguardo al mondo esterno. Le osservo e mi rendo conto di quanto sono fiero, ma comincio anche a capire che loro crescono e io… invecchio! Certo, le statistiche dimostrano che l’aspettativa di vita è ancora lunga, ma la storia insegna, che può accadere di tutto, ogni giorno, ogni minuto e ogni istante.

Forse dovrei cominciare a amarle meno? Forse dovrei cominciare a allontanarle? Forse dovrei diventare più freddo? Boh! non credo di avere la risposta, soprattutto non credo di esserne capace. Ergo… mi affido alle statistiche, voglio fidarmi dei numeri… e intanto continuo a amarle come ho sempre fatto, con tutto me stesso e prima di tutto. Oggi è così, poi si vedrà…

Ai due eroi della foto rivolgo un pensiero, a Paolo Borsellino, come padre, riservo un grazie, di cuore.

Buongiorno mondo!


Buongiorno mondo! Buongiorno a te che non usi parole, che non ti perdi in inutili confronti, sciocchi dibattiti, magari in televisione, dove ognuno tiene la propria ragione senza concludere nulla, senza aiutare nessuno. Buongiorno a te, che ci hai donato ogni prodotto della terra, ci hai circondato di simili con cui condividere la tua superficie, per trascorrere brevi momenti o intere vite. Buongiorno a te, che non hai il senso del tempo che scorre, perché ci sei sempre stato e magari vorresti restare ancora “per sempre”. Buongiorno a te, che ti sei dimostrato ingenuo, che hai agito con animo puro, ci hai dato tutto senza pretendere nulla in cambio e noi ne abbiamo approfittato. Ci siamo presi tutto, costruendo dove non si poteva, oltre il necessario, producendo troppo, sfruttando ogni risorsa all’infinito senza capire che il mondo è finito! Buongiorno a te che ci hai sopportato avidi, opportunisti e egoisti. Ci hai permesso di agire senza rimproveri, in fondo avevi spazio disponibile, eravamo ancora pochi, si poteva trovare una soluzione per tutti. Mamma mia… pensa che bello se fosse stata anche condivisa, un pò per ogni uomo, magari in parti uguali. Tutti felici, nessuna invidia, nessuna cattiveria, nessuna ingiustizia. E invece…

Siamo andati oltre! Ben oltre il limite. Così oggi, pian piano, ci stai avvisando, ci stai mettendo alle strette, ci stai semplicemente spiegando che la misura è colma. Lo fai a modo tuo, ancora una volta, senza parlare, travolgendo con l’acqua gli spazi che abbiamo occupato; togliendoci , in un attimo, tutte quelle cose che abbiamo accumulato in una vita! (che paradosso!) E noi ora possiamo solo restare a guardare ciò che mandi. Senza protezione, completamente abbandonati a noi stessi, rimasti soli. Magari guardando la tua forza dal vetro di una cantina, che si riempie di fango. Quel fango che entra potente in ogni stanza della casa. Ogni stanza è piena di cose, tanti oggetti comperati, prodotti, venduti o regalati. “Cose! Solo tante cose!” E nessuna di queste è in grado di salvarci, perché il fango sale e siamo in pericolo! Cazzo, in un istante rischiamo di perdere la vita, la cosa più importante che abbiamo! Tra noi e la vita rimane una grata, saldata alle finestre per protegger quelle cose! Per fortuna l’acqua non sale più , per fortuna la grata viene strappata, per fortuna il vetro è rotto, per fortuna tu esci. Per fortuna ci sei ancora! Buongiorno mondo, buongiorno a te, amico mio.

Rallentare!

Già. Mi ritrovo a un attimo dai miei cinquantacinque anni e rifletto. Guardo chi ho attorno, la loro vita, il loro correre verso obiettivi impossibili o possibili; non spetta certo a me definirli. Uomini e donne incastrati dentro le maglie di una vita, che per certi versi, ha perso il senso. Poi guardo me stesso, per capire dove sbaglio, dove ho cambiato strada, quando mi sono perso… Perché non comprendo più! E non capisco più gli altri. Comincio a scollegarmi dal mondo, comincio a stufarmi sempre prima delle inutili conversazioni, fatte di luoghi comuni, argomenti triti e noiosi, farciti di lavoro, di soldi, di divertimento forzato legato a locali più o meno fighi, pieni di gente che ha sempre più paura di restare sola. Sono sempre più convinto che la solitudine sia un lusso, un piacere da gustare con calma, da rivalutare. E per solitudine intendo quella soluzione condivisa, di persone che possono restare assieme senza dover per forza parlare di qualcosa. Intendo coloro che camminano assieme e gustano il silenzio di un paesaggio, i colori di un tramonto che annega nell’acqua di un mare. Intendo le dita incrociate di due mani che passeggiano assieme, per un sorriso regalato dal volo di una farfalla che sembra volersi unire al silente camminare. Intendo lo sguardo di un bimbo appena nato, che ti guarda con fiducia perché è quello che l’istinto gli concede. Ti guarda per capire, per conoscere, per fidarsi di te anche perché non ha alternativa; sarebbe comunque impotente davanti a ogni tua scelta di adulto e quindi si affida, positivo e solare. Perché perdere tali tesori… Perché crescere per diventare opportunisti, falsi, egoisti e bastardi. Forse ci rimane ancora un’opportunità, rallentare. Smettere la corsa, recuperare fiato, rallentare per mettere a fuoco quanto di bello ci circonda. Ricominciare a vivere, con meno, che in realtà rappresenta un più. Ma è solo il mio punto di vista.

Peace.

IN FONDO MICA TUTTO DEVE AVERE SENSO

Proprio così! Perché cerchiamo sempre il senso delle cose. Ciò che accade deve accadere. Punto. Non ci dobbiamo rovinare l’esistenza per trovare soluzioni o spiegazioni. Significa vivere con frustrazione ogni esperienza, bella o brutta che sia, senza comprendere che in ogni caso sarebbe accaduta comunque, a prescindere dalla nostra volontà. Certo, rimane giusto capire il perché delle cose, ma non è possibile di tutto! Credo sia un pensiero così facile da comprendere e invece… Così non dormi la notte, che trasforma le ombre in mostri orribili, così non mangi o digerisci male, così litighi con amici, colleghi e conoscenti. Così non guardi più la bellezza che ti circonda, così cerchi sempre il colpevole, che in realtà non esiste… anzi, esiste, ma avresti bisogno di uno specchio per individuarlo. E intanto la vita scorre. Quella vita che abbiamo codificato in anni, in mesi, in giorni, in minuti, in secondi, in piccoli istanti, che continuiamo a perdere, presi dall’ossessione di trovare una ragione a tutto. Che poi, ragione… facile a dirsi, ma cosa intendiamo per ragione? Quella che ci porta ogni giorno più vicini al suicidio collettivo? Perché non comprendiamo di aver esagerato nel violentare il nostro pianeta. Perché ormai non ci è più chiaro il concetto di solidarietà e condivisione. Perché l’arroganza domina il mondo con l’ignoranza, che utilizza le guerre per alimentare un’industria che rende ricchi e promuove lo scontro, la diversità. Concetti che dovrebbero essere semplici e chiari per tutti, ma non è così. Per fortuna non è così, altrimenti tutti i programmi televisivi non avrebbero senso, i social sarebbero soltanto un gioco e non un’industria miliardaria che frutta denaro. Attenzione: frutta denaro, non rende ricchi. Perché la vera ricchezza è altro! La vera ricchezza è capire che non tutto ha bisogno di essere spiegato, ma vissuto. Un sorriso, un gesto garbato oggi risulta essere rock, essere punk, essere ribelle a tutto ciò che ci stanno spruzzando negli occhi e, purtroppo, anche nel cervello. Ma forse è troppo tardi, forse il punto di non ritorno è già stato superato. E rimane solo che aspettare e sperare, senza spiegare nulla perché in fondo, mica tutto deve avere un senso! Peace.

RIAPRIRE UNA FINESTA

Strane giornate mi riempiono la vita. Impegni improvvisi e cambi di programma che intrecciano percorsi da anni mai ripresi. Così accade che stasera devo uscire, che all’improvviso l’appuntamento viene spostato un’ora più tardi e, tra mille imprecazioni, mi ritrovo a girare in auto da solo. Per fortuna conosco la zona, così vado a salutare un amico al bar, la gente trabocca da ogni fessura; bicchieri, risate, urla e fiumi di profumi imbarazzanti mi otturano le narici. Saluto, bevo un gingerino e esco. Me ne vado subito, portando con me una strana sensazione: il desiderio di fuggire. Salgo in auto e ingrano la marcia, mi chiedo come sia potuto accadere, perché avverta quel profondo senso di voler allontanarmi dal posto e da quella gente…
Rimango assorto nei pensieri per qualche chilometro e poi accolgo la risposta che arriva direttamente dall’anima; perché non ho più nulla da condividere con loro. Stesse facce, stesse situazioni, stesse serate, solo una variabile tra tutte le costanti, siamo tutti più vecchi! Il pensiero aggiunge un filo di tristezza allo spirito…
Così arrivo al locale stabilito per cena. Dopo trent’anni ci ritroviamo.
Parcheggio in anticipo, attendo in auto, riprendo in mano un piccolo libro che tengo sempre con me, letto e riletto mille volte, le pagine ormai consumate, ma riempie il cuore ogni volta che lo sfoglio e ne rubo piccoli passaggi. Lo ripongo e scendo dall’auto. Il conta-passi da polso segnala che ho camminato poco, così parto; la serata è calda, l’aria è invasa dalla polvere di un clima che non concede più lacrime vitali e le auto a qust’ora fanno da pessima cornice a un tramonto sublime. Cammino distratto, con lo sguardo libero, seguo ciò che mi attrae e attendo che scorra il tempo.
Che dopo molti passi fissa la lancetta al momento stabilito. Torno indietro e li vedo, un grande sorriso ci accoglie. Sembriamo i quattro moschettieri; cresciute le pance, caduti i capelli, le rughe dei volti che a scuola non c’erano, ma ciò che mi abbaglia sono gli sguardi. Gli stessi di allora; furbi, intensi, dolci, vivaci. Nessuno di noi ha perso la luce di allora, eppure sono quasi tre decadi che non ci vediamo…
Li abbraccio. Sento l’emozione salire agli occhi, che lasciano scorrere una lacrima sincera.
Il resto diventa relativo. Si tratta di una cena organizzata, dove centinaia di persone si incontrano per mangiare e ballare. Noi ci siamo perché è equidistante da casa per ognuno di noi. Trovo divertente considerare che alla nostra età la distanza diventi un punto fermo nelle scelte, più importante del locale e della gente. In ogni caso ci hanno messo al tavolo con delle simpatiche donne, carine e cordiali, in entrata l’attenzione del gestore, per un attimo, viene apprezzata. Ma basta un istante perché i ricordi ci racchiudono tra le nostre mura, dove non esistono accessi. Basta quell’istante e siamo di nuovo soli tra noi, immersi tra ricordi e episodi, a volte dimenticati, a volte da dimenticare.
Si fa notte, la musica cresce, la cena è ormai terminata, io sento l’esigenza di uscire, di tornare a casa, perché domani è sabato e Zoe deve comunque essere accompagnata a scuola. Non mi va di rinunciare al privilegio di farle da autista. Mi congedo. Li saluto con affetto, li abbraccio con forza. Soprattutto l’ultimo amico, che è rimasto in disparte proprio per essere l’ultimo. Quell’espressione da impunito che ho sempre vissuto come un fratello, più di un fratello. Che da ragazzo si è fatto carico delle mie fragilità, delle mie confidenze.
Mi abbraccia. restiamo così per un attimo più lungo, più intenso, più affettuoso. Ci scambiamo la promessa di non aspettare ancora trent’anni…

L’ultimo sguardo lo accompagna a parole di sincera stima per me, per il mio percorso, per i miei successi. Lo abbraccio di nuovo, senza parlare questa volta, ho un groppo in gola che non riesco a ingoiare. Mi volto, mi allontano con un braccio levato per l’ultimo saluto e ringrazio Dio di avermi donato tutto ciò che ho vissuto. Peace.